6. LIBRI. VALENTINA PARISI PRESENTA "SINCERAMENTE VOSTRO, SURIK" DI LJUDMILA
ULICKAJA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 12 agosto 2007 col titolo "L'ironia di
Ljudmila Ulickaja proiettata su fondali brezhneviani" e il sommario "Dotato
di un fascino sottilmente demode' e ambientato nel grigiore degli anni '70,
l'ultimo romanzo della scrittrice moscovita, uscito da Frassinelli con il
titolo Sinceramente vostro, Surik, e' affidato al protagonismo di un uomo un
po' santo un po' idiota, impegnato a riscattare i suoi sensi di colpa
offrendo molteplici servizi a uno stuolo di piagnucolose ammiratrici".
Valentina Parisi, docente, saggista, traduttrice, e' una fine slavista.
Ljudmila Ulickaja, scrittrice russa, nata nel 1943 nella regione degli
Urali, vive e lavora a Mosca: studiosa di genetica, autrice di testi
teatrali, storie per bambini, racconti e romanzi, dalla fine degli anni
Ottanta ha iniziato a pubblicare sulle riviste "Novyj Mir", "Ogonek" e
"Kontinent"; per alcuni anni ha diretto la sezione letteraria del Teatro da
camera ebraico di Mosca; per la sua opera narrativa ha ricevuto numerosi
riconoscimenti internazionali, tra cui nel 1996 in Francia il premio
Medicis; le sue opere sono state tradotte in numerose lingue. Opere di
Ljudmila Ulickaja: Sonja, e/o, 1997; La figlia di Buchara, e/o, 1998; (con
I. Grekova, Galina Scerbakova) Due per una, Tufani, 2000; Medea, Einaudi,
2000; Funeral party, Frassinelli, 2004; Le bugie delle donne, Frassinelli,
2005; Il dono del dottor Kukockij, Frassinelli, 2006; Sinceramente vostro,
Surik, Frassinelli, 2007]
"Scrivo per un pubblico di bibliotecarie e professoresse". L'affermazione
recente con cui Ljudmila Ulickaja ha perentoriamente circoscritto l'ambito
di ricezione della sua prosa suona in maniera curiosa, dal momento che il
successo di cui godono i suoi libri, attualmente tradotti in una trentina di
lingue e gratificati di prestigiosi riconoscimenti sia in patria che
all'estero, sembrerebbe estendersi ben oltre i confini di qualunque riserva
indiana. Eppure questa ammissione polemica, dettata forse dal desiderio di
ironizzare sul dibattito circa la presunta "femminilita'" della propria
scrittura, colpisce per la sua chiaroveggente modestia. Al di la' di
qualunque fuorviante schematizzazione, lo stile equilibrato della Ulickaja
si rivolge intenzionalmente a un pubblico tradizionalista e colto, incline a
una appassionata tutela dei valori letterari nazionali piu' che a forme
eterodosse di sperimentazione. Lontana dalla democrazia virtuale dei blog
(che Mauro Martini, nel suo L'utopia spodestata, definiva a ragione come
vere e proprie fucine per la giovane creativita' russa), indifferente ai
colpi deliberatamente inferti alla lingua letteraria da innovatori ormai
classici come Vladimir Sorokin o Viktor Erofeev, la sessantaquattrenne
scrittrice moscovita persegue una sua via indubbiamente peculiare, guidata
da una levita' quasi miracolosa che pone in secondo piano eventuali
interrogativi sull'attualita' delle sue scelte.
Totalmente estranea ai ritmi sincopati della Mosca odierna, Ljudmila
Ulickaja si rifugia sovente - e non e' un caso - nella rilettura del recente
passato sovietico, privilegiando storie considerate esemplari. Come quella
ricostruita nel Dono del dottor Kukockij (centrato sulle complesse vicende
familiari del ginecologo moscovita che, alla fine degli anni '40, elaboro'
un progetto per la legalizzazione dell'aborto) o la storia di Daniel Stein,
traduttore - il suo ultimo romanzo ancora inedito in Italia, liberamente
ispirato alla figura di Daniel Rufeisen, ebreo polacco che, infiltrandosi in
qualita' di interprete nella Gestapo, riusci' a salvare parte della
popolazione del ghetto della citta' bielorussa di Mir.
*
Il fascino sottilmente demode' della Ulickaja, tipico del suo stile avverso
a qualsiasi tentazione post-modernista, nonche' la sua tendenza a indagare
con finezza i rapporti tra i sessi, emergono chiaramente dal romanzo
Sinceramente vostro, Surik, pubblicato da Frassinelli nell'elegante
traduzione di Emanuela Guercetti. Figlio illegittimo di una malinconica
contabile con velleita' artistiche inespresse, cresciuto in un confortevole
ma opprimente microcosmo femminile, Surik e' convinto di avere stroncato con
la propria nascita la presunta vocazione teatrale della madre. Nulla di
sorprendente, dunque, se egli passera' la vita a espiare la sua "colpa",
trasformandosi in una sorta di indaffaratissimo consolatore, pronto a
soddisfare con i suoi servigi - sessuali e non - uno stuolo di piagnucolose
ammiratrici. Con una certa dose di sadismo l'autrice ricostruisce la mancata
evoluzione del protagonista seguendo la proliferazione delle sue
masochistiche ipostasi: allievo modello per la nonna insegnante di francese,
valletto per la madre inetta, infermiere e amante per la bella Valerija
dalle gambe paralizzate, marito legale per la compagna di studi Lena,
allorche' decidera' di mascherare con un matrimonio fittizio la sua
posizione di ragazza-madre agli occhi della famiglia benpensante. E ancora:
veicolo di promozione sociale per Alja, ambiziosa chimica giunta a Mosca
dalla provincia kazaka; confidente per la scultrice Matilda e vittima ideale
per la pedinatrice paranoica Svetlana. Inghiottito da questa routine
sfiancante, Surik giunge alla soglia dei trent'anni invecchiato anzitempo e
insoddisfatto della sua monotona occupazione di traduttore tecnico
(intrapresa ovviamente per non lasciare sola la madre).
La sua vita potrebbe subire una svolta imprevista quando Lilija, la ragazza
di cui un tempo era innamorato, ora emigrata in Israele, lo chiama per
annunciargli che trascorrera' ventiquattro ore a Mosca in attesa del volo
diretto a Tokio. Inutile dire che anche questa ultima occasione andra'
sprecata. Il giudizio che Lilija emettera' dopo avere vagabondato una notte
intera con lui per la citta' sara' infatti implacabile: Surik e' un incrocio
tra un santo e un perfetto idiota.
*
Ma ridurre questo romanzo ironico e deliziosamente misogino al suo intreccio
sarebbe davvero ingiusto. Sinceramente vostro, Surik e' innanzitutto un
notevole affresco della cosiddetta "stagnazione brezhneviana", ossia di
quegli anni '70 che, in tempi recenti, sono divenuti oggetto di una vera e
propria rivalutazione collettiva. La nostalgia che la maggior parte della
popolazione russa sembra attualmente provare per il tranquillo grigiore di
quel decennio - distante tanto dagli sconvolgimenti bellici e dalle
repressioni staliniane quanto dal crollo dell'Urss - assume in questo
romanzo una sfumatura quasi cechoviana. All'evocazione commossa di uno dei
rari momenti di stabilita' nella storia russa si fonde lo sgomento di fronte
al vicolo cieco sociale e spirituale che una simile quiete sottintendeva.
Nel timido Surik l'autrice incarna la paralisi di quella frazione
dell'intelligencija che, istintivamente critica verso la cultura di massa
elaborata dal potere sovietico, era d'altronde incapace di convogliare la
propria ansia nel neo-avanguardismo proposto dalle cerchie artistiche
underground o nel dissenso politico. Per Surik la vita e' un succedersi di
piccoli riti domestici legati alla memoria della nonna, indispensabili per
la salvaguardia del delicato equilibrio esistenziale della madre. Impegnato
incessantemente a fornire alle sue donne piccole rassicurazioni quotidiane
sotto forma di leccornie di difficile reperibilita', farmaci omeopatici o
indumenti di importazione, l'eroe della Ulickaja non si accorge nemmeno che
il mondo intorno sta cambiando, che il francese che utilizza per le sue
traduzioni e' innegabilmente desueto, che l'idillio biedermeier cui va
sacrificando tutte le sue energie non reggera' alla prova del tempo.
L'autrice affida il giudizio finale su questa Unione Sovietica convertita
alla sicurezza borghese per mancanza di prospettive all'emigrante ebrea
Lilija, decisa a costruire la sua esistenza altrove: "Mi hanno fatto
mangiare dei piatti incredibili, all'antica pure loro. E' sorprendente, nei
negozi c'e' la miseria piu' nera, ma la tavola e' imbandita con ogni ben di
Dio". Cosi', attraverso la rimozione apparente di ogni conflitto, Ljudmila
Ulickaja crea un universo narrativo perfettamente calibrato che, nondimeno,
comunica al lettore un lieve senso di inquietudine.