http://www.esamizdat.it/rivista/2009/1/recensioni/faccioli1.htm
È una scrittura originale, segnata da un ritmo sottilmente ironico compreso in un'andatura tragica, a comporre il romanzo Svidetel' [Il testimone] di Il'ja Mitrofanov, ben resa in italiano dalla traduzione di Mario Alessandro Curletto. Poche sono le coordinate che si posseggono sull'esistenza dell'autore: nato a Kilija (Ucraina) nel 1948, Il'ja Mitrofanov sarà investito da un'automobile nei pressi di Mosca (a Peredelkino) nel 1994, dopo aver svolto l'attività di falegname a Izmail. Mitrofanov ha conquistato in vita notorietà con la pubblicazione, nel 1991, di Cyganskoe sčast'je [Felicità gitana] dato alle stampe in Russia da Znamja (e in seguito pubblicato in Francia e in Germania). Sulla medesima rivista, nel 1992 è apparso il romanzo Vodolej nad Odessoj [Acquario sopra Odessa]. Nel 1995 è la volta del volume Cyganskoe sčast'je. Bessarabskie byli [Felicità gitana. Storie di Bessarabia] pubblicato postumo. Il testimone è stato pubblicato in russo per la prima volta nella rivista moscovita Roman Gazeta nel 1999.
La casa editrice Isbn ha in corso di pubblicazione tre romanzi di questo autore, finora misconosciuto in Italia, di grande talento e di stile raffinato. È probabile che la regione della Bessarabia, dove è nato Mitrofanov e dove si svolge la vicenda del Testimone, non sia molto nota al pubblico, e ancor meno forse lo sono i complessi avvenimenti storici raccontati. Vale quindi la pena ricordare la tragica vicenda identitaria di questa terra, oggi divisa tra Moldavia e Ucraina. La Bessarabia storica, meridionale, dove nacque Mitrofanov, prima di essere ceduta all'Impero russo nel 1812, aveva fatto parte della Rus' di Kiev, del Principato di Moldavia e dell'Impero Ottomano. In seguito alla Rivoluzione russa del 1918, la Bessarabia fu occupata dai romeni, ma in un periodo successivo alla Seconda guerra mondiale, con il patto Molotov-Ribbentropp del 1940, la regione fu ceduta all'Unione sovietica, così come la Bukovina. La parte settentrionale della Bessarabia fu annessa alla Repubblica socialista sovietica moldava e la parte meridionale alla Repubblica socialista sovietica ucraina. Ma in questi anni densi di eventi, periodo in cui si svolge la vicenda del Testimone, il territorio subì altri cambi di fronte: nel 1941 passò nuovamente sotto la guida dei romeni e fu riconquistata dai sovietici solo nel 1944. Dopo il crollo dell'Urss la regione ha mantenuto la suddivisione moldavo-ucraina del 1940.
Nella Postfazione al romanzo, Mitrofanov ha spiegato il significato del suo romanzo e dalle sue parole si evince come questo scrittore russo, nato in terra ucraina, abbia amato la convivenza multietnica tipica della sua terra: la Bessarabia è territorio di russi, ucraini, romeni, moldavi, zigani, bulgari e gagauzi. E sono proprio questi i protagonisti del Testimone, gente che si esprime in diverse lingue, assoggettata prima alla dittatura romena, poi a quella sovietica. Fedor Petrovič Pokora è il barbiere di Kotlovina, uomo originale appassionato del proprio mestiere, poiché in esso sa trovare il modo di conoscere le persone e di prendersi cura del loro aspetto. A differenza di molti altri, all'arrivo dei sovietici Fedor Petrovič non scappa attraversando il Danubio: per amore e attaccamento alla sua terra rimane e cerca una disperata convivenza col nuovo potere. Ma questo tempo della sua vita sarà segnato da una terribile carestia che lo obbligherà a fare i conti con i lati più disumani della sopravvivenza.
Il romanzo ha per soggetto la fiducia tradita degli abitanti di Kotlovina di fronte al potere sovietico. Il rapporto tra Fedor Petrovič e il violento commissario del popolo manifesta questa cocente disillusione e frustrazione; sarà la carestia a bruciare definitivamente ogni illusione e a provocare una reazione feroce nel popolo che, stremato, attaccherà la casa del commissario uccidendone la figlia. Fino alla fine, finanche di fronte alla morte, il potere gerarchico non permette livellamenti e assume caratteri grotteschi: segnati entrambi dalla morte di una figlia, il barbiere e il commissario del popolo continuano a sostenere i propri ruoli di vittima e carnefice, nonostante il primo abbia umanamente accolto la moglie del commissario per salvarla dalla folla inferocita.
La forza con cui il barbiere si tiene aggrappato alla dignità e ai valori umani non è in grado di fermare la logica del disincanto. Tutta la vicenda si sviluppa in un crescendo tragico-grottesco l'equivoco supremo del potere sovietico, la sua violenza sottile e cieca, il suo perpetrato gioco di illusioni: a fare da contro-bilancia agli slogan demagogici per la costruzione del futuro, v'è la totale mancanza di pane. La fotografia apparsa sul giornale il giorno successivo all'arrivo dei sovietici, che ritrae una piazza gremita e festante pronta ad accogliere il governo comunista è, nella sua totale falsità, preludio a tutta la tragedia: il barbiere di Kotlovina, presente all'arrivo dei russi in piazza, di questa folle e totale mistificazione ne è “testimone”: “Ancora oggi non riesco a capire: da dove avevano tirato fuori quella fotografia? Ne sono io testimone: in quel momento sulla piazza non c'era anima viva” (p. 17).
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È una scrittura originale, segnata da un ritmo sottilmente ironico compreso in un'andatura tragica, a comporre il romanzo Svidetel' [Il testimone] di Il'ja Mitrofanov, ben resa in italiano dalla traduzione di Mario Alessandro Curletto. Poche sono le coordinate che si posseggono sull'esistenza dell'autore: nato a Kilija (Ucraina) nel 1948, Il'ja Mitrofanov sarà investito da un'automobile nei pressi di Mosca (a Peredelkino) nel 1994, dopo aver svolto l'attività di falegname a Izmail. Mitrofanov ha conquistato in vita notorietà con la pubblicazione, nel 1991, di Cyganskoe sčast'je [Felicità gitana] dato alle stampe in Russia da Znamja (e in seguito pubblicato in Francia e in Germania). Sulla medesima rivista, nel 1992 è apparso il romanzo Vodolej nad Odessoj [Acquario sopra Odessa]. Nel 1995 è la volta del volume Cyganskoe sčast'je. Bessarabskie byli [Felicità gitana. Storie di Bessarabia] pubblicato postumo. Il testimone è stato pubblicato in russo per la prima volta nella rivista moscovita Roman Gazeta nel 1999.
La casa editrice Isbn ha in corso di pubblicazione tre romanzi di questo autore, finora misconosciuto in Italia, di grande talento e di stile raffinato. È probabile che la regione della Bessarabia, dove è nato Mitrofanov e dove si svolge la vicenda del Testimone, non sia molto nota al pubblico, e ancor meno forse lo sono i complessi avvenimenti storici raccontati. Vale quindi la pena ricordare la tragica vicenda identitaria di questa terra, oggi divisa tra Moldavia e Ucraina. La Bessarabia storica, meridionale, dove nacque Mitrofanov, prima di essere ceduta all'Impero russo nel 1812, aveva fatto parte della Rus' di Kiev, del Principato di Moldavia e dell'Impero Ottomano. In seguito alla Rivoluzione russa del 1918, la Bessarabia fu occupata dai romeni, ma in un periodo successivo alla Seconda guerra mondiale, con il patto Molotov-Ribbentropp del 1940, la regione fu ceduta all'Unione sovietica, così come la Bukovina. La parte settentrionale della Bessarabia fu annessa alla Repubblica socialista sovietica moldava e la parte meridionale alla Repubblica socialista sovietica ucraina. Ma in questi anni densi di eventi, periodo in cui si svolge la vicenda del Testimone, il territorio subì altri cambi di fronte: nel 1941 passò nuovamente sotto la guida dei romeni e fu riconquistata dai sovietici solo nel 1944. Dopo il crollo dell'Urss la regione ha mantenuto la suddivisione moldavo-ucraina del 1940.
Nella Postfazione al romanzo, Mitrofanov ha spiegato il significato del suo romanzo e dalle sue parole si evince come questo scrittore russo, nato in terra ucraina, abbia amato la convivenza multietnica tipica della sua terra: la Bessarabia è territorio di russi, ucraini, romeni, moldavi, zigani, bulgari e gagauzi. E sono proprio questi i protagonisti del Testimone, gente che si esprime in diverse lingue, assoggettata prima alla dittatura romena, poi a quella sovietica. Fedor Petrovič Pokora è il barbiere di Kotlovina, uomo originale appassionato del proprio mestiere, poiché in esso sa trovare il modo di conoscere le persone e di prendersi cura del loro aspetto. A differenza di molti altri, all'arrivo dei sovietici Fedor Petrovič non scappa attraversando il Danubio: per amore e attaccamento alla sua terra rimane e cerca una disperata convivenza col nuovo potere. Ma questo tempo della sua vita sarà segnato da una terribile carestia che lo obbligherà a fare i conti con i lati più disumani della sopravvivenza.
Il romanzo ha per soggetto la fiducia tradita degli abitanti di Kotlovina di fronte al potere sovietico. Il rapporto tra Fedor Petrovič e il violento commissario del popolo manifesta questa cocente disillusione e frustrazione; sarà la carestia a bruciare definitivamente ogni illusione e a provocare una reazione feroce nel popolo che, stremato, attaccherà la casa del commissario uccidendone la figlia. Fino alla fine, finanche di fronte alla morte, il potere gerarchico non permette livellamenti e assume caratteri grotteschi: segnati entrambi dalla morte di una figlia, il barbiere e il commissario del popolo continuano a sostenere i propri ruoli di vittima e carnefice, nonostante il primo abbia umanamente accolto la moglie del commissario per salvarla dalla folla inferocita.
La forza con cui il barbiere si tiene aggrappato alla dignità e ai valori umani non è in grado di fermare la logica del disincanto. Tutta la vicenda si sviluppa in un crescendo tragico-grottesco l'equivoco supremo del potere sovietico, la sua violenza sottile e cieca, il suo perpetrato gioco di illusioni: a fare da contro-bilancia agli slogan demagogici per la costruzione del futuro, v'è la totale mancanza di pane. La fotografia apparsa sul giornale il giorno successivo all'arrivo dei sovietici, che ritrae una piazza gremita e festante pronta ad accogliere il governo comunista è, nella sua totale falsità, preludio a tutta la tragedia: il barbiere di Kotlovina, presente all'arrivo dei russi in piazza, di questa folle e totale mistificazione ne è “testimone”: “Ancora oggi non riesco a capire: da dove avevano tirato fuori quella fotografia? Ne sono io testimone: in quel momento sulla piazza non c'era anima viva” (p. 17).
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