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Perché agli italiani piace parlare di cucina

E' uscito poche settimane fa in Spagna Por que a los italianos les gusta hablar de comida, scritto dall'ucraniana Elena Kotiukovitch, da anni residente a Milano (è uscito anche in Italia con il titolo Perché agli italiani piace parlare del cibo. Un itinerario tra storia, cultura e costume, per Sperling& Kupfer, 22 €). Ne hanno parlato giornali e blog, offrendo l'occasione di vedere ancora una volta da vicino le idiosincrasie spagnole (ebbene sì, spagnole, non italiane). Mi è già capitato altre volte di accennare al fatto che gli spagnoli non sappiano parlare di un evento senza cercare paragoni con la Spagna, per dimostrare che Spain is better, claro está: si parla dell'Impero Romano perché avete visitato Italica o avete letto qualche reportage su El Pais? non manca mai chi deve sottolineare che Traiano e Adriano erano spagnoli e di lì ci vogliono tre secondi a dire che l'Impero spagnolo era l'unico su cui non tramontava mai il sole (che c'entra con Roma e Hispania? non chiedetevelo). Si parla di Obama? Due secondi e non sapete come vi trovate nel pieno di una discussione sull'indipendentismo catalano (i voli pindarici degli spagnoli per parlare di se stessi, sono ammirevoli). Il fútbol e la comida giocano su un altro pianeta: impossibile parlarne senza essere travolti dal senso di competizione che gli spagnoli hanno con le cose italiane e da qualcuno che inizia a decantare le virtù del Barça,o del Real e del fatto che sono campioni d'Europa (vantarsi di essere i campioni d'Europa con i campioni del mondo può passare in testa solo agli spagnoli, ma così va la vita), del jamón de pata negra che tutto il mondo invidia a la Spagna (prima di sbarcare a Siviglia non avevo idea della sua esistenza) e tutta la sfilza di lodi a tortilla-de-patatas-paellas-chorizos che non finiamo più.

Per cui leggere di questo libro di Elena Kotiukovitch e trovarsi a leggere le lodi della cucina spagnola è prevedibile e persino banale. Come tutti i popoli, gli spagnoli sono convinti di avere la miglior cucina del mondo e la cosa che gliele fa girare parecchio è che fuori dai patri confini i loro piatti siano praticamente ignorati, mentre si parla di cucina francese, italiana, cinese, indiana e delle più recenti e rampanti cucine messicana e peruviana. Così ti fanno una testa tanto su Ferran Adriá e la sua notorietà mondiale, anche se poi non andrebbero mai a mangiare da El Bulli perché vuoi mettere un buon chorizo che sappia di chorizo con le sue uova al sugo invece di una tessitura di uova che sa di funghi in gocce di champagne?! Il senso di competizione che hanno con l'Italia è sorprendente e personalmente non ho più voglia di perdere tempo con chi dice che in Italia si annoia perché si mangia solo pasta o che i gelati italiani non saranno mai come gli spagnoli (poi se ti stufi e gli dici che l'Europa è piena di ristoranti e gelaterie italiani e che i turchi fingono di essere italiani per aprire i loro ristorantini pseudo-tricolori, mentre a nessuno passa por la cabeza di aprire un ristorante spagnolo oh, sei proprio aggressiva! e vabbe')

In base a tutto ciò, mi ha molto colpito un post di un blog del quotidiano asturiano La Nueva España, in cui presentano Por que a los italianos les gusta hablar de comida, parlando della cucina e delle abitudini italiane, senza mettere di mezzo la Spagna e offrendo una bella visione di come ci vedono quelli che sanno rispettare le altrui abitudini (perché le conoscono davvero e non si basano sui 4 giorni di vacanze a Roma o a Venezia, stretti nei ritmi turistici). Luis M. Alonso la prende da lontano, iniziando addirittura da Ippolito Nievo, per ricordare che "in Italia esiste ancora la buona abitudine di conversare. Deve essere per questo che gli italiani godono di uno splendido appetito e hanno un amore per la cucina superiore a quello di altri popoli, compresi noi stessi (vabbe', un accenno agli spagnoli perdoniamoglielo,è più forte di loro, non ce la fanno a non mettersi di mezzo)." Usando come pretesto le parole di Kostioukovitch circa la passione degli italiani per la cucina e la loro abitudine di parlare di piatti e alimenti in un modo che "non è solo elencare gli ingredienti", Alonso racconta la sua esperienza di straniero in Italia. "Non è la prima volta che esco da un ristorante italiano sapendo più del cuoco circa quello che ho appena mangiato, sapendo quello che mi ha detto la signora del tavolo vicino o beccando al volo una conversazione che in futuro guiderà i miei passi su quante noci moscate devo grattugiare per non esagerare con i pizzicotti. L'italiano non rinuncia quasi mai a dire di dove è e ad associare immediatamente il suo luogo di origine con i piatti del suo paese o, in un piano già più intimo, con quelli della mamma o della nonna. In questo caso non si tratta di perdere il tempo, ma di rivendicarsi orgogliosamente nei piaceri della vita, sia con altri italiani o con quelli di fuori".

La parte in cui però ci si riconosce di più è questa in cui parla della rigidità italiana davanti ai codici culinari (c'è qualche italiano che può dire che non è vero, che non siamo così?). "I piatti, la regione, la campagna, la famiglia, tutto è tema di conversazione e tutto ammette leggere discussioni di fondo, suggerimenti, aneddoti. Ma, come succede con la politica e con il calcio, e in modo molto più energico, dove l'italiano si esprime con maggior fanatismo è nella stretta osservanza dei codici culinari. Ci sono regole che non si devono saltare: sono, però, quelle che impone la maggioranza. Nelle cose del pranzo, l'italiano è tradizionale per natura e rifiuta qualunque snaturamento del prodotto, per cui non risulta affatto strano che sconsigli combinazioni inusuali o ingredienti fuori dal comune nel cibo; si resiste, effettivamente, come racconta l'autrice del libro, a servire il cappuccino se non è di mattina presto (ricordo un blog statunitense in cui l'autrice, profonda conoscitrice dell'Italia, invitava a non prendere assolutamente mai un cappuccino dopo le 10 di mattina perché è cosa che fanno solo i turisti, mai un italiano... e ci mancherebbe!); cerca di convincere il commensale che prendere un the dopo mangiato è un'autentica atrocità; la stessa cosa è consumare bevande eccessivamente alcoliche tra un pasto e l'altro. Lo straniero può trovarsi in Italia con il rifiuto del padrone di un locale se vuole mangiare una pasta più cucinata di quella che si considera al dente e anche con un insistente lavoro di dissuasione se il vino con cui vuole accompagnare il piatto non è quello adeguato". Dopo aver fornito qualche divertente aneddoto su quest'idea italiana del buon mangiare, che comprende anche la rassegnazione del cuoco Mario Zurla davanti all'ufficiale americano che voleva innaffiare i piatti che gli stava proponendo per celebrare la liberazione di Bologna con una cioccolata e poi, vista la gaffe, con una Coca Cola (tortellini in brodo, tacchino al forno e zampone con la Coca Cola?!), arriva a una conclusione che mi ha fatto sentire molto italiana e per una volta orgogliosa di come gli spagnoli ci raccontano: "Tutta l'Italia si riconosce italiana davanti a un piatto di spaghetti e tutta, per maggiore gloria, riconosce la giocata".

Muchas gracias, señor Alonso, por fin un español que sabe hablar de Italia!

Scritto il 12/26/2009