http://www.memorialitalia.it/2014/05/29/lenergia-della-vergogna-fazil-iskander/

Nostalgia di infanzia dal mondo abcaso

Alias Domenica - Stefano Garzonio, 28.6.2014

Narrativa di lingua russa. Per la prima volta tradotto da Salani, “L’energia della vergogna” guarda al terribile mondo del totalitarismo attraverso l’occhio di un bambino

Almeno fino agli anni novanta dello scorso secolo era lecito porsi la que­stione dell’esistenza, accanto alla let­te­ra­tura russa sovie­tica e dell’emigrazione, di una let­te­ra­tura rus­so­fona pre­sente in altri con­te­sti etnici e cul­tu­rali. Per molti intel­let­tuali e scrit­tori appar­te­nenti alle mino­ranze pre­senti nei con­fini dell’Unione Sovie­tica era natu­rale rivol­gersi al russo come lin­gua di espres­sione let­te­ra­ria, in modo abba­stanza ana­logo a quanto avve­niva per le let­te­ra­ture post­co­lo­niali anglo­fone e fran­co­fone. La let­te­ra­tura sovie­tica era ricca di casi di scrit­tori non russi che sce­glie­vano il russo come lin­gua let­te­ra­ria: fra que­sti, il kir­ghiso Cin­giz Ajt­ma­tov e il ciu­kci Jurij Rytheu. Oltre a rap­pre­sen­tare la pro­pria cul­tura nazio­nale, que­sti scrit­tori svol­sero un ruolo impor­tante nella sto­ria della let­te­ra­tura russa, arric­chen­dola non solo con temi e con det­ta­gli descrit­tivi eso­tici, ma anche nei toni e nelle diverse forme della narrazione.

Uno degli esempi più inte­res­santi è quello dello scrit­tore abcaso Fazil’ Iskan­der, cer­ta­mente tra gli autori più ori­gi­nali della let­te­ra­tura tardo-sovietica, quella tra sta­gna­zione e pere­stro­jka, e oggi con­si­de­rato un patriarca della let­te­ra­tura russa, come testi­mo­nia, tra l’altro, il pre­mio di stato con­fe­ri­to­gli il 12 giu­gno scorso. Fazil’ Iskan­der è ben noto anche in Ita­lia, dove sono stati tra­dotti veri e pro­pri capo­la­vori quali La costel­la­zione del capro­toroLa notte e il giorno di CikSan­dro di Cegem, e ancora Il tè e l’amore per il mareL’uomo e i suoi din­torni Oh, Marat! Ora la Salani pro­pone, con la pre­fa­zione di Moni Ova­dia e nella bella tra­du­zione di Ema­nuela Guer­cetti, un romanzo breve dal titolo L’energia della ver­go­gna (pp. 208, euro 12,90) scritto nel 1987 e pub­bli­cato la prima volta sulla rivi­sta «Zna­mja» col titolo La vec­chia casa sotto il cipresso.

Nato a Suchumi da madre abcasa e padre ira­niano (il padre, pro­prie­ta­rio di una fab­brica di mat­toni, fu depor­tato dall’Urss nel 1938), Iskan­der si affermò agli esordi come poeta e que­sta sua prima espe­rienza let­te­ra­ria costi­tui­sce senza dub­bio una delle fonti del suo par­ti­co­lare stile imma­gi­ni­fico. Come altri gio­vani scrit­tori dell’epoca – tra i quali Vasi­lij Akse­nov e l’autore del Sol­dato Con­kin Vla­di­mir Voj­no­vic – anche Iskan­der con­sumò la pro­pia for­ma­zione intorno alla rivi­sta «Junost’», uno dei rife­ri­menti costanti della nuova let­te­ra­tura sovie­tica nata dal disgelo.
Il forte senso di libertà e di ribel­lione che per­corre tutta la sua opera si mani­fe­sta, tra le pagine di L’energia della ver­go­gna, affron­tando il ter­ri­bile mondo del tota­li­ta­ri­smo attra­verso il pri­sma dell’ingenua coscienza di un bam­bino, e alter­nan­dovi i toni epici della nar­ra­zione nostal­gica appli­cata alla cata­stro­fica incur­sione della civiltà sovie­tica nel sistema patriar­cale degli abcasi, mino­ranza cau­ca­sica che ancora oggi difende con dif­fi­coltà, ma vigo­ro­sa­mente, la pro­pria iden­tità tra Rus­sia e Geor­gia (per effetto della guerra russo-georgiana l’Abcasia è oggi una repub­blica indi­pen­dente de facto, ma con spo­ra­dici rico­no­sci­menti internazionali).

Nella prosa di Iskan­der com­pare uno spe­ci­fico lin­guag­gio eso­pico che si rea­lizza poi in una dimen­sione ludico-carnevalesca, com­pli­cata dalla tra­spo­si­zione scritta del rac­conto orale nella duplice rice­zione epica e storico-documentaria: un pro­cesso già evi­dente nel ciclo di San­dro di Cegem, per­so­nag­gio gran­dioso e con­trad­dit­to­rio, difen­sore dell’onore, picaro e truf­fa­tore, istrione e fan­nul­lone, grande Tamada di ban­chetti, toast­ma­ster.
San­dro sem­bra un mutante in salsa cau­ca­sica dei per­so­naggi di Rabe­lais o Cer­van­tes, un eroe che agi­sce sullo sfondo dello scon­tro tra mondo patriar­cale e socia­li­smo auto­ri­ta­rio. Sta­lin stesso, come Berija, com­pare come pre­senza ambi­gua e coin­vol­gente nel com­plesso intrec­cio di acca­di­menti e di capo­vol­gi­menti, al di là delle bar­riere tem­po­rali, secondo la migliore tra­di­zione della nar­ra­zione epico-storica. Non a caso il mul­ti­forme e impre­ve­di­bile mondo di Iskan­der, tra saga e satira, ha fatto par­lare di rea­li­smo magico con chiaro rife­ri­mento al mondo di Gabriel Gar­cía Márquez.

Negli anni che sareb­bero seguiti alla scrit­tura di L’energia della ver­go­gnal’autore abcaso aggiunse un sot­to­fondo etico-psicologico nel quale l’impegno civile risul­tava più evi­den­te­mente mar­cato, come nel caso del rac­conto lungo Il pic­colo gigante dal grande sesso che vide la luce su Metro­pol’ nel 1979, il cele­bre alma­nacco che fu al cen­tro di un ecla­tante caso let­te­ra­rio e poli­tico. I tratti filo­so­fici e alle­go­rici sono invece al cen­tro della fiaba Coni­gli e pitoni, nella quale in toni di grot­te­sca tra­gi­cità si offre un qua­dro senza spe­ranze della società sovie­tica. Molti dei pro­ce­di­menti e dei temi impie­gati da Iskan­der sono rin­trac­cia­bili anche inL’energia della ver­go­gna, que­sto breve romanzo di for­ma­zione rac­con­tato con toni che ancora una volta ricor­dano il fluire della nar­ra­zione orale (Iskan­der è scrit­tore for­te­mente radi­cato nella dimen­sione fol­clo­rica) men­tre affron­tano il tema della ver­go­gna come sen­ti­mento che tra­sforma la debo­lezza in ener­gia vitale, tem­prando l’identità e la personalità.

Sullo sfondo di un mondo in disgre­ga­zione, seb­bene ricco di sug­ge­stione poe­tica e cor­ro­bo­rato dalla forza del sogno e dell’ironia, Iskan­der costrui­sce l’azione con­cen­tran­dosi sulla vita di un cor­tile popo­lato da una folla di per­so­naggi eccen­trici (lo zio Samad sem­pre altic­cio, il cap­pel­laio caraita Samuil, il dolce armeno Ave­tik), auten­tici nella loro quo­ti­diana con­cre­tezza. Il risul­tato è un’immagine ori­gi­nale e vitale dell’alterità, della spe­ci­fi­cità cul­tu­rale, della forza della libertà nella peri­fe­ria dell’impero sovie­tico con­tro ogni con­for­mi­smo, ottu­sità e qualunquismo.



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